Capirsi

Quant’è bello capirsi. Quant’è bello quando trovi una persona che riesca a cogliere le tue stesse frequenze di pensiero, che non banalizza ciò che dici e che vive i tuoi stessi turbamenti. Ed è assurdo perché sembra di pensare le stesse cose, ci si sente meno soli e persi nel mezzo del nostro cammino. Ci si confronta, tornano alla mente le stesse immagini e potresti passare nottate a parlarne. Si aprono un sacco di strade per pensieri che avevi riposto non sufficientemente elaborati in un cassetto e che in questi momenti tornano prepotentemente, richiamati alla memoria da una parola o una frase detta dall’altra persona. Stai in fermento, è tutto terapeutico, lavi via certi demoni, ti senti di nuovo vivido dopo tanto tempo passato con il cervello in naftalina, in atrofia a studiare, fare e pensare le stesse cose. Si sente la vicinanza e la complicità, ti scalda il cuore e in una vita fatta di stenti e bocconi amari da ingoiare è come un flebile raggio di luce che ti illumina in mezzo a tutta l’oscurità circostante.

 

Luci lasciate accese

A volte mi capita di guardare la mia faccia stanca allo specchio e mi ritrovo ad osservarla come se fosse quasi estranea. Mi capita di guardarmi allo specchio mentre mi spoglio prima di andare a dormire e vedere questa figura direi minuta, asciutta, a tratti spigolosa e a tratti delicata.

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Treni

Il treno è quel posto dove il tempo sembra scorrere più lento e puoi analizzare analiticamente le cazzate che hai fatto il giorno prima o in generale i patemi della tua vita. Scorrono le stazioni, ti lasci indietro case, campagna, strade, vigneti, fosse, ponti, casolari, boschetti, capannoni, complessi residenziali e senti solo lo sferragliare delle rotaie. E tu rimani lì, come sospeso in un’altra dimensione, la mente aperta e gli occhi fissi sul finestrino con la cuffie nelle orecchie.

Transizioni di stati d’animo

Ci sono persone che è come se avessero un interruttore. Passano dall’essere felici all’essere tristi, sono spensierati o preoccupati, possono incazzarsi per poi rilassarsi. Quasi monocromatiche. Non nel senso negativo del termine ma piuttosto intendendo una consequenzialità temporale netta che riesce a discriminare bene tra gli stati d’animo.

Ce ne sono altre invece che è come se avessero un rumore di fondo di ciascuna emozione che di volta in volta vede prevalere l’una sull’altra. Vortici impetuosi che lottano, stridono, si sincronizzano per prevalere l’uno sull’altro, formando una personalità sfumata e sfuggevole, poco coincisa e meno prevedibile.

Giornata tipo

Casa. Sono le sei del pomeriggio ma sembra mezzanotte. Mi faccio due uova, gallette e succo di frutta. Caffè. L’Anna si misura la febbre, è ammalata ed oggi non è andata al lavoro. Anch’io sto così così, spero di stare meglio domani. Faccio la lavatrice, metto in ordine la camera e metto su la musica. Ho una spalla che sembra quella di un vecchio, la faccio schioccare di tanto in tanto. Una settimana fa ho fatto il coglione con il sacco da boxe in palestra e tirando un gancio mi sono mezzo stirato la spalla, che già di suo non stava messa benissimo. Studiacchio. Mi scrive un mio amico che compie gli anni proponendomi una birra al Pratello. Non posso rifiutare, ceno ed esco nonostante il freddo glaciale. Incontro Guido, è stato in Marocco di recente e parliamo del suo viaggio. Alla fine sono anche un po’ brillo, ci salutiamo e torno a casa buttandomi nel letto, cotto.

Loco

Martedì 31 ottobre. La notte di Halloween mi sono inquartato come mai in vita mia. Ricordo la mia testa chinata sulla tavoletta del cesso per vomitare. Scorgo qualche macchia di vomito sui jeans e la felpa. Mi tornano in mente le tre o quattro volte che sono caduto trascinandomi per terra. Gli sproloqui sui costrutti e obblighi societari con Luca, credo di aver scomodato pure Hegel, “La notte delle vacche nere”. Un cicchetto, due cicchetti. Vodka lemon, altri cicchetti. L’ultimo, quello che ti frega sempre, lo sapevo che non avrei dovuto ma ormai era troppo tardi. Ballo nella mischia senza nessuna cognizione, prendo la bottiglia d’acqua che mi porge l’Anna e la svuoto roteandola attorno.  Poi il ritorno a casa braccia al collo degli altri e altri vaneggi su colonne d’Ercole, costellazioni. Pure qualcosa di patologia generale, sistemi di digestione dell’alcool.

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La notte

La notte schiude la testa. È il rifugio perfetto per pensieri che durante la giornata verrebbero travolti dal trambusto del traffico e dal chiacchiericcio insistente nei viali. È il momento dei solitari, dei reietti e dei reclusi. Dilata le percezioni e rende i pensieri più vividi.
Siamo tutti più nudi di notte. L’oscurità avviluppa le nostre paure. La notte è sporca, custodisce i segreti e fa scomparire le tracce. Sopisce i cattivi umori, rimuove le scaglie di ruggine da sentimenti volitivi.
La notte è puttana. Ti coccola e ti accudisce per poi pugnalarti alle spalle andando a rinvangare storie rimosse e ricordandoti delusioni cocenti. La notte è un lembo di oscurità che accoglie giudizio, raziocinio, idee e passioni.
La notte è dicotomia, è caccia e calma piatta.
La notte è territorio di nottambuli, depressi ed anime in pena.
La notte rende sensibili e smussa gli angoli della realtà, a volte troppo cruda.

Annotale

Corro. Prendo ampi respiri e non mi bastano. Studio ma ho sempre il pieno di pensieri ingarbugliati in testa. Sono attivo ultimamente. Mi sento più vivo che mai. Ho da fare parecchio, devo gestire università, uscite, sto riprendendo ad allenarmi ed è rinfrancante. Dormo pochissimo. La mattina mi alzo che mi chiedo con che forze riuscirò a terminare la giornata. Ma poi le forze le trovo e a fine giornata ci arrivo sempre. Il caffè mi aiuta, anche se ha le sue controindicazioni, le occhiaie, la gola secca e lo stress a lungo termine. Vivo di adrenalina. Di sensazioni. Sto cominciando ad imparare come sia difficile entrare in testa alle persone. Forse è il senso di responsabilità o forse è che sto crescendo. Incrocio destini per la strada, tolgo le cuffie e ma dai, sei proprio tu? Si, sono io, quanto tempo, vero, come stai, l’università, il viaggio all’estero. Faccio progetti per il futuro, come sempre. Vivo arrancando il presente, occhiaie a terra, vizi, sveglie multiple, treni che passano, tabelle, dispense, borse, calcetti, uscite, la macchina, caricami, ci vediamo stasera. A volte mi lascio andare, mi lascio cadere, esausto. Altre volte esce la vena iraconda, scalcio, sbuffo e ansimo. Arrivano gli sfoghi e le litigate. Arrivano i momenti di lucidità, i momenti di tranquillità in solitudine, quelli in condivisione con gli amici di sempre. Arriva sempre tutto, manca sempre qualcosa, conservo i ricordi piacevoli, un’ombra, un sorriso, un volto sbiadito o uno sterrato dimenticato. Ma poi, via, bisogna di nuovo rialzarsi e capire che cazzo fare di questi 22 anni che sembrano infiniti.